La Corte Costituzionale pur dichiarando formalmente inammissibili tutte le questioni poste per irrilevanza e perplessità della motivazione, ha rinviato al legislatore il compito di stabilire le soluzioni che debbano adottarsi per porre rimedio ai profili di incompatibilità già accertati in Italia, tra l’ordinamento nazionale e la CEDU, in particolare a seguito della nota sentenza "Grande Stevens".
In sostanza, la Corte italiana ha ritenuto non percorribile la via della questione di costituzionalità per giungere ad una armonizzazione dell’ordinamento interno al principio dettato dalla Corte EDU ed ha quindi rimesso al legislatore la soluzione della questione.
Nello stesso tempo, però, la Corte ha precisato che, in base alla consolidata giurisprudenza europea, il divieto di bis in idem ha carattere processuale, e non sostanziale. Esso, in altre parole, permette agli Stati aderenti di punire il medesimo fatto a più titoli, e con diverse sanzioni, ma richiede che ciò avvenga in un unico procedimento o attraverso procedimenti fra loro coordinati, nel rispetto della condizione che non si proceda per uno di essi quando è divenuta definitiva la pronuncia relativa all’altro.
Tale conclusione, in verità non del tutto condivisibile, prefigura non solo importanti sviluppi sulle scelte legislative che saranno poi da valutare -anche secondo i parametri della CEDU- nelle soluzioni concrete che andranno a prevedere, ma pone fin da ora più di un interrogativo sulla legittimità di tutti quei processi da poco definiti o in corso, i quali - secondo il nostro attuale sistema del cd. ”doppio binario” sanzionatorio - saranno utilizzati come "base" per altri autonomi e distinti processi in ambito diverso (penale e amministrativo) .